Genova 2001: Solidarietà è memoria collettiva. La rete dei comitati per Vincenzo Vecchi.

17 Marzo 2021 Off Di supportolegale

Ripubblichiamo da Zapruder – Storie in Movimento un intervento dell’Assemblea Amici e Familiari di Vincenzo che aggiorna sulla vicenda processuale di Vincenzo Vecchi e affronta alcuni temi che riguardano le vicende processuali genovesi: l’uso politico del reato di devastazione e saccheggio, la divisione tra “buoni e cattivi”, l’ingranaggio collettivo.

 

Solidarietà è memoria collettiva – StorieInMovimento.org

 

Solidarietà è memoria collettiva.
La rete dei comitati per Vincenzo Vecchi

 

La parte più recente della storia infinita del nostro compagno Vincenzo Vecchi inizia l’8 agosto 2019, quando viene arrestato in Bretagna a seguito di un’operazione di polizia internazionale congiunta. Viene arrestato sul posto di lavoro e incarcerato nella prigione di Rennes. Perseguito da due Mae (Mandato di arresto europeo): uno per i fatti del G8 di Genova e l’altro per i fatti di Milano dell’11 marzo 2006 (corteo antifascista in opposizione alla Fiamma tricolore). Questo secondo Mae verrà però presto dichiarato illegittimo perché la difesa dimostrerà che la pena è già stata interamente scontata, e c’è da dire che questo ricorso abusivo al Mae da parte delle autorità italiane non ha bendisposto la magistratura francese fin dal principio. Così il primo giudizio sull’“estradizione” arriva nel novembre 2019 ed è favorevole a Vincenzo che viene liberato per un vizio di procedura formale.
Questo primo giudizio verrà però ribaltato dalla Corte di cassazione un paio di mesi dopo. A quel punto il procuratore generale, che è l’alter ego del pubblico ministero in Italia, sposta il fascicolo alla Corte di Angers, sempre in Bretagna, per un nuovo giudizio. Da allora Vincenzo è rimasto comunque libero in attesa di un verdetto definitivo.

Nel frattempo, nei mesi passati da agosto a novembre 2019, in Francia sono successe molte cose che noi dall’Italia abbiamo guardato con grandissimo interesse. In maniera veloce, spontanea e allo stesso tempo molto corposa si sono formati una serie di comitati di solidarietà e sostegno al nostro compagno. I comitati sono inizialmente stati circoscritti al territorio di Rochefort-en-Terre, dove abitava, però poi si sono allargati, si sono diffusi e siamo arrivati a più di 30 comitati di solidarietà e di appoggio. Oltre che nelle campagne lì intorno, sono arrivati a toccare città come Nantes, Rennes e poi Parigi. Quando il processo è stato spostato alla Corte di Angers, anche lì si è creato un nuovo comitato.
E questa è stata un’esperienza estremamente interessante.
Noi dall’Italia ci siamo mantenuti costantemente in contatto con loro. Siamo spesso e volentieri andati in Bretagna, per trovare Vincenzo chiaramente, ma abbiamo avuto modo di conoscere ed entrare nel merito delle attività dei comitati francesi. Abbiamo fatto diversi incontri, abbiamo partecipato alle riunioni, abbiamo preso decisioni insieme. Da un punto di vista politico siamo rimasti all’inizio sorpresi, impressionati e abbiamo imparato anche un po’ di cose come italiani, sia rispetto a un modo di fare politica sia anche a un modo di vedere Genova.
Questi comitati sono estremamente eterogenei, sia per classi sociali che per età… ci sono dai giovani ai davvero molto meno giovani. Quando Vincenzo è stato arrestato stava ristrutturando l’interno dell’abitazione di una signora che, per età, potrebbe essere sua madre. Dopo l’arresto questa signora è entrata a far parte del comitato fin da subito, sia lei che sua nipote, che invece è una ragazzina. Quando ci siamo conosciute ci ha invitato a casa sua…ed era ancora impressionata dalla violenza che era stata utilizzata anche nei suoi confronti, e nei confronti della sua abitazione, dalla Gendarmerie che era andata ad arrestarlo, o meglio dalla Brigade Antifugitives. Lei utilizzava proprio il termine “violentata”: «mi sono sentita violentata da questi uomini in divisa che scorrazzavano all’interno della mia casa alla ricerca di Vincenzo», che poi era lì che lavorava, con le cuffie antirumore. Ecco lei ad esempio è una persona che aderisce da sempre al comitato. Queste per noi sono state esperienze interessanti, perché invece in Italia spesso vediamo che abbiamo per lo più a che fare con compagni, compagne e militanti. Si fa un po’ più fatica a mettere insieme un comitato di questo tipo, che è più simile a quelle che sono state e sono le esperienze in Val Susa.

Il comitato italiano è diverso da quello francese, noi ci siamo organizzati per dare una risposta e per costruire un fronte di solidarietà e di sostegno a un compagno, ma non solo a lui, perché siamo un gruppo di compagni eterogeneo, ognuno viene dai suoi territori, dai suoi collettivi, dalle sue realtà di lavoro, etc. e siamo impegnati su diversi fronti: in solidarietà con le lotte nei luoghi di lavoro, come la logistica, la sanità e anche la scuola che sono i settori su cui stiamo lavorando negli ultimi mesi, ma anche sulle carceri o nelle lotte territoriali ovunque nascano.
Siamo un’Assemblea di Amici e Familiari nata in solidarietà a Vincenzo, però vediamo la questione in maniera allargata e cerchiamo di fare discorsi più ampi e anche la situazione di Vincenzo cerchiamo di collocarla all’interno di un quadro generale di lotte e di repressione.
Cercando di vedere questi due aspetti nei loro rapporti reciproci.

Un’altra cosa che ci ha colpito è che in Francia hanno una valutazione, un sentimento, un’emozione rispetto ai fatti di Genova che è estremamente diversa da quello che abbiamo in Italia e forse ci sarebbero delle cose da imparare.
Cioè per loro la questione “buoni e cattivi”, black bloc, etc. non esiste. Mettono in primo piano tutte le immagini delle violenze della polizia e di quello che è successo, non riescono neanche a “valutare” che ci possa essere stata una qualsiasi motivazione per mettere in piedi una violenza di quel tipo, al di là della scuola Diaz, ma ancora prima, cioè proprio nelle strade. La questione dei black bloc sulla quale qui in Italia ci si è erroneamente, e forse anche vergognosamente, soffermati per anni, portando avanti dei discorsi incredibili, di una irrazionalità e di una vergogna indicibili, per loro invece immediatamente, anche per la signora di Malansac che ha ottant’anni, è da rigettare.

Ci siamo spesso interrogati sulla differenza tra reazione francese all’arresto di Vincenzo e reazione in Italia. Due mondi diversi. In Italia ci siamo misurati con un’assuefazione alla repressione incredibile; per di più la storia di Genova è percepita come qualcosa di lontano e di “maledetto” da cui non esce fuori niente di buono. Ancora oggi forse c’è chi è convinto che i black bloc fossero tutti infiltrati della polizia…
Paradossalmente è stato più difficile costruire una solidarietà in Italia, di quanto non sia stato in Francia e questa è una cosa che ci ha fatto riflettere. Ci siamo chiesti perché il gioco delle divisioni lì pesi meno, e perché qui invece questi compagni siano stati spesso abbandonati, o comunque lasciati più soli, quando non additati come “violenti”, spianando la strada ad una repressione infinita. Una delle risposte che ci siamo dati, anche se parziale, è proprio che in Francia non hanno avuto Genova. Non hanno cioè avuto un episodio di frattura così profondo nei movimenti, con cui non sono mai stati fatti i conti. Questo continua a pesare.

Per tornare alla cronologia della vicenda processuale, eravamo rimasti allo spostamento del fascicolo di Vincenzo alla Corte di Angers, quando tutto intorno c’era già un brulicare di movimento di solidarietà e i comitati si erano via via moltiplicati. Il 4 novembre 2020 la Corte di Angers emette un verdetto molto significativo.
La Corte di Angers dice che il reato di devastazione e saccheggio, l’art. 419 del codice di procedura penale italiano, per gran parte viene rigettato perché non esiste un reato corrispondente nell’ordinamento giuridico francese e quindi non sa come trattarlo, non lo conosce, non esiste, ci ha messo un anno – perché abbiamo fatto un anno di consultazioni tra Francia e Italia a livello giuridico-legale affinché i francesi potessero comprendere cosa era il reato di devastazione e saccheggio – e alla fine ha scritto nero su bianco, con un documento giuridico ufficiale, che non riusciva a estradare Vincenzo sulla base di quel reato, e gli ha lasciato 15 mesi per dei reati minori, da poter scontare eventualmente in Francia.

Il procuratore generale ha fatto nuovamente ricorso in Cassazione. Si tratta di un procuratore generale di recente nomina – Jacques Carrère – che viene da Parigi e da quello che abbiamo capito sta seguendo una sua carriera all’interno dell’antiterrorismo e questo forse spiega le motivazioni della sua scelta, perché anche all’interno dei processi di Genova abbiamo assistito ad alcune belle carriere usando come trampolino le condanne inflitte.
L’esito del ricorso doveva essere reso pubblico il 26 gennaio 2021. E, come avevamo subodorato grazie alle anticipazioni raccolte dagli avvocati, una delle opzioni, prima che la corte di cassazione si esprimesse per la seconda volta, era quella di interpellare la giustizia a livello europeo.
Sia n Italia che in Francia, non abbiamo grandi informazioni su come agisce, cosa fa e che competenze ha questo tipo di corte – che non è la Corte dei diritti dell’uomo ma è la Corte di giustizia dell’Unione europea.
Pensiamo che il fascicolo di Vincenzo sia al momento ancora in alto mare perché le procedure e i tempi non sono brevi. Tutto il fascicolo che lo riguarda deve essere tradotto in 27 lingue e i tempi di traduzione non sono immediati, poi supponiamo che i 27 paesi debbano leggerlo e dare un parere. Che valenza ha questo parere non ci è ancora chiaro, ci è sembrato di capire che non sia vincolante per la Francia, ma stiamo navigando in un’area che noi non conosciamo e che persino gli addetti ai lavori non conoscono benissimo.
Comunque il parere della Corte di giustizia europea verrà comunicato alla Corte di Parigi e saranno poi loro a decidere.
Quando avverrà ancora non lo sappiamo. L’udienza in Cassazione è stata fissata per giugno 2021, ma visti i tempi che sta assumendo la procedura, abbiamo forti dubbi che la data sia rispettata.
Per cui la questione è in corso. Non è certo finita. Anzi forse inizia ora, perché fino ad adesso a quanto pare siamo 0-0, palla al centro. Da ora in poi può succedere di tutto.

L’unica cosa che sappiamo per certo è che dopo 10 anni di processi in Italia, 8 anni di latitanza, e 1 anno e mezzo circa di carcere scontato tra Italia e Francia, la storia di Vincenzo, o, l’affaire Vecchi, come viene chiamato dai giornalisti francesi, o «la caccia all’ultimo black bloc», come la chiamano invece i giornalisti di casa nostra, è ancora aperta. Ora è arrivata a livello europeo. E l’esito non è per nulla scontato.
Certo è che l’ultima sentenza d’appello, quella della corte di Angers, accoglie dubbi importanti sull’applicabilità in Francia di un Mae per devastazione e saccheggio. E questo apre scenari interessanti non solo per Vincenzo – che, ricordiamolo, rischia 10 anni in meno se questo reato non dovesse essere riconosciuto – ma potenzialmente anche per tutti coloro che sono ricercati dall’Italia con questo capo d’imputazione. Per capirci: se questa sentenza venisse confermata in Cassazione chiunque si trovasse in Italia braccato da una condanna per questo reato potrebbe decidere di riparare in Francia e, se raggiunto da un Mae, appellarsi alla “sentenza Vecchi” per evitare il rimpatrio coatto. Dunque un paradosso che aprirebbe uno strappo nel costituendo “spazio giuridico europeo”. Che in concreto significherebbe maggiori margini di protezione per chi in futuro decidesse di sottrarsi alla cattura. Stiamo parlando oltretutto di un reato che in Italia dopo Genova 2001 è stato molto usato anche per situazioni di piazza decisamente meno conflittuali di un contro-summit: per esempio solo nella città di Milano è stata usata due volte, l’11 marzo del 2006 e il primo maggio nel 2015, per il quale tra l’altro esiste un’altra sentenza importante, un’estradizione rifiutata dalla Grecia per alcuni giovani di Atene ricercati per quei fatti. Oltre che per “rompere la piazza”, come sosteneva già dal titolo un opuscolo sul tema in circolazione qualche anno fa, il 419 c.p. è stato negli anni sperimentato anche per portare a processo i partecipanti alle rivolte in spazi chiusi, come è accaduto nei Cpt e, più recentemente, nelle carceri. Insomma, questo reato, ideato sotto il fascismo e transitato indenne nel codice repubblicano, ha in Italia nuova vita oramai da vent’anni, tanti quanti sono gli anni che ci separano da Genova 2001. Anni, tra l’altro, caratterizzati da varie missioni di guerra, combattute sotto la bandiera comune della guerra infinita al terrorismo, che in qualche modo conservava in sé i tratti di una caccia al black bloc su scala planetaria.

Tornando alla vicenda in particolare, quella di Vincenzo e del parere chiesto alla corte di giustizia europea, c’è da precisare che l’Italia non è l’unica in Europa ad avere simili “residuati bellici” nel proprio codice penale. Basti vedere la Spagna e le leggi che tutelano la reputazione del re, che proprio recentemente hanno dato il via a proteste di piazza molto vive per l’arresto di un cantante rap catalano. E a ben guardare neppure la paladina dei diritti dell’uomo, la Francia (vedi ad esempio la legge «anticasseur», che aumenta le pene per i danneggiamenti di piazza, o la recente legge «sécurité globale», che vieta di filmare i poliziotti in azione), sta andando in direzioni tanto diverse per quanto riguarda la restrizione delle libertà di manifestare e la tutela dalle violenze della polizia. Detto questo il reato di devastazione e saccheggio rimane una specialità tutta nostrana difficilmente compatibile con il diritto di altri paesi dell’eurozona, almeno questo sembra di capire a leggere i principi espressi sulla Carta dei diritti europei, che parlano di equità e proporzionalità. Poi resta il fatto che la carta è solo carta, e dopo vent’anni di ingiustizia sperare di trovare del buon senso in un tribunale ci vuole una fede robusta, di cui non disponiamo!

Comunque sia, la storia di Vincenzo racconta che c’è sempre una scelta. C’è sempre un modo per mettersi di mezzo. Anche solo per guadagnare tempo e non lasciare nulla d’intentato. È difficile ma non bisogna mai rassegnarsi e pensare di essere totalmente ininfluenti. La repressione vince anche perché ci convince di questo. Una volta ridotti a vittime perdiamo la capacità di reagire, quando invece anche una singola volontà può fare la differenza, soprattutto se sulla sua strada incontra la solidarietà di qualcuno. Come ha mostrato Vincenzo attraverso la latitanza e come hanno dimostrato i comitati nati in suo sostegno in Francia: volontà del singolo e solidarietà collettiva possono essere l’anomalia umana nell’algoritmo repressivo.